Italia ed Ungheria. Dieci secoli di rapporti letterari (Budapest, 1967)

Csapodi, Cs.: La biblioteca di Beatrice d'Aragona, moglie di Mattia Corvino

Una risposta a questo quesito potrà venire da un esame più attento degli stemmi che figurano nei codici. Possediamo infatti ben sette codici sul cui ricco frontespizio si vedono, riunite in un unico scudo, le armi di re Mattia e della Casa d’Aragona; inoltre, sono noti numerosi altri in cui, oltre allo stemma di re Mattia, si ritrova in uno scudo a parte e in diverse posizioni il blasone che ricorda la regina Beatrice. E’ un fatto singolare che, per quanto gli stemmi collocati aH’interno o nelle rilegature dei codici costituissero sempre un fattore importante nell’identificazione dei possessori d’una volta, nelle ricerche relative alla storia delle biblioteche non sia fino ad oggi forse nemmeno affiorata l’idea dell’opportunità di esaminare più attentamente il problema dell’impiego degli stemmi. Con tutto che l’uso degli stemmi in un’epoca in cui l’araldica faceva parte della vita stessa e lo stemma aveva un’importante funzione di espressione giuridica, non era risultato di pura casualità o di un estro decorativo, ma aveva anche un concreto significato specifico. E questo significato dev’essere tenuto in considerazione per quanto riguarda la storia delle biblioteche, e nel nostro caso quella biblioteca Corvina, e dev’essere valutato come fonte di ricerca. Il fatto che sul frontespizio di un codice figuri solo lo stemma di re Mattia o che vi si trovi anche, riunito in un unico scudo, quello degli Aragonesi, non è dovuto all’arbitrio deU’illumina­­tore, alla sua intenzione di lusingare insieme col re anche la regina, e nep­pure è da considerarsi un atto di galanteria di Mattia verso la moglie o un’ostentazione, da parte sua, per dimostrare il proprio potere mettendo in mostra i legami con la Casa d’Aragona; no, lo stemma è un indizio essenziale per quanto concerne il proprietario del codice. Non si deve certo dimenticare che per l’uso degli stemmi non vigevano leggi nazionali, nè norme scritte, ma solo consuetudini giuridiche.5 È da tener conto inoltre del fatto che la decorazione dei codici non era affidata ad esperti di legge, ma era un’attività d’artista che non sempre conosce e segue con scrupolosità i principi giuridici. Se, con tutto ciò, si pone la domanda se lo stemma ungaro-aragonese riunito in uno scudo comune sotto la stessa corona possa o no essere l’insegna comune di Mattia e Beatrice, l’araldica risponde con un no deciso: infatti, il marito non porta mai lo stemma della moglie: lo stemma comune spetta soltanto alla moglie.6 Ed è una prassi perfettamente logica: la regina usava il proprio blasone familiare in base alla sua origine, ma nello stesso tempo, come regina, le spettava anche lo stemma del paese rappresentato o identi­ficato con quello del marito. Se d’altra parte il re avesse usato lo stemma della consorte, ciò avrebbe significato un dominio, o almeno una pretesa sul paese dalla cui famiglia regnante la moglie discendeva. Quando i re Angioini riunirono in un unico scudo il proprio stemma familiare con i gigli con quello della Casa degli Árpád, diviso in fascia, esprimevano così la discendenza per ramo femminile e il loro diritto alla successione al trono d’Ungheria. Per lo stesso motivo Carlo di Durazzo re di Napoli, come re d’Ungheria 5 A. Áldásy, Gímertan (Araldica), Budapest 1923, pp. 38, 61; O. Bárczay, A heral­dika kézikönyve (Manuale di araldica), Budapest 1897, p. 36. 6 Áldásy, op. eit., pp. 8 — 9. 114

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