Italia ed Ungheria. Dieci secoli di rapporti letterari (Budapest, 1967)

Berkovits, I. T.: Il codice dantesco di Budapest

codici di Mattia Corvino, nel palazzo del sultano turco, nel Eski Seray di Costantinapoli. Per molti secoli restò nascosto lì, per poi ritornare — in una nuova rilegatura di pelle rossa ornata con mezzelune turche — assieme ad altri codici corviniani in Ungheria nel 1877 quale regalo del sultano Abdul Hamid II ed esser sistemato definitivamente dove si trova tutt’ora, cioè nella Biblioteca Universitaria di Budapest. Il codice dantesco di Budapest—che contiene tutte e tre le parti della Divina Commedia — risvegliò molto presto l’interesse degli scienziati. L’eccellente studioso ungherese di Dante, József Kaposi, constatò che il testo, copiato in due colonne, non era completo: delle 14.233 righe dell’opera ne mancavano 2463; inoltre il copista del testo originale era dell’Italia Settentrionale ed aveva scritto spesso certe parole in dialetto veneziano; ed infine dopo il testo del Paradiso possiamo leggere due terzine in dialetto veneziano scritte dal copista quale spiegazione.3 Precedentemente, verso il 1870 Karl Witte riteneva il testo del codice dantesco di Budapest di poco valore e senza interesse,4 mentre uno studioso italiano, P. L. Rambaldi, alla fine del secolo lo riteneva il più prezioso di tutti i manoscritti.5 Al di là d’ogni giudizio di valore sul testo, oggi ci si pone il problema se nell’epoca in cui la copia nacque, le parole scritte in lingua e con ortografia veneziana, nonché le terzine di commento man­cassero totalmente d’importanza ed interesse ? Dante sicuramente non riteneva che la lingua popolare veneziana avesse livello letterario. Kel De vulgari eloquentia rivalutando l’efficacia della lingua volgare rispetto al latino, analizzò la lingua italiana composta di quattordici varianti di lingua popolare e giunse ad affermare che: «Veneti quoque nec sese investigati vulgaris honore dignantur; et si quis eorum, errore confusus, vanitaret in hoc» e fa d’uopo obiettargli che «nec venetianum esse illud quod quaerimus vulgare illustre».6 Dante ebbe occasione di visitare Venezia, dopo aver finito di comporre la sua Commedia, poco prima di morire. Ciò spiega il fatto che uno dei codici danteschi più rari in quest’epoca, si ebbe proprio a Venezia. La questione sorge solo allorché ci si chieda il motivo per cui il copista abbia usato la lingua e l’ortografia veneziana, nonostante il Poeta avesse espresso il menzionato giudizio dispregiativo su tale dialetto. È però da notare come l’uso del veneziano al posto del latino era stato pure dettato da una profonda esigenza di quel tempo, messa in risalto del De vulgari eloquentia dello stesso Alighieri. Dell’artista che miniò il codice dantesco di Budapest sono conosciute anche altre opere, dipinte nel 1342 durante il regno del doge Andrea Dandolo. Infatti lo stesso ornò di miniature due codici: la Promissione del doge Andrea Dandolo o Capitolare dei consiglieri ducali (Venezia, Archivio di Stato. Sala Diplomatica No. 4.) e la Promissione del doge Andrea Dandolo (Venezia, 3 J. Kaposi, Dante Magyarországon (Dante in Ungheria), Budapest 1911. 4 K. Witte, Handschriften der Divina Commedia in Constanlinopel und Cagliari, in: «Jahrbuch der Deutschen Dante-Gesellschaft», Leipzig 1869, II; Id., Dante-For­schungen, Heilbronn 1879, II. 5 «Bullettino della Società Dantesca Italiana», Firenze 1900, p. 192. 6 De vulgari eloquentia, liber primus, XIV. 46

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